Condanna per l’uomo anche se la donna reagisce ai soprusi
A inchiodare l’uomo è il contesto di disuguaglianza e di supremazia rispetto alla donna in cui lui ha agito
Soprusi e aggressioni dell’uomo verso la compagna che trova la forza di reagire: legittimo
comunque parlare di maltrattamenti in famiglia. Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare l’accusa a carico dell’uomo e a sostenere la reciprocità delle offese tra l’uomo e la donna. A inchiodare l’uomo è il contesto di disuguaglianza e di supremazia rispetto alla donna in cui lui ha agito. Impossibile, in sostanza, escludere il reato di maltrattamenti in famiglia solo perché la donna reagisce ai soprusi del compagno. Questo il paletto fissato dai giudici (sentenza 32686 del 20 agosto 2024 della Cassazione), chiamati a valutare le condotte di un uomo denunciato dalla compagna per i soprusi da lei subiti tra le mura domestiche. Per i magistrati è per nulla convincente l’assunto difensivo secondo cui, essendo stata accertata la reciprocità delle offese tra l’uomo e la donna, il reato di maltrattamenti in famiglia non sarebbe sussistente in quanto difetterebbe una posizione di supremazia-sottomissione tra le parti. I giudici ribadiscono che il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e l’identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione. Ciò che è fondamentale, quindi, non è la circostanza che le offese siano o meno reciproche, quanta, piuttosto, l’asimmetria di posizione, nel contesto della coppia, asimmetria che si genera per effetto dei comportamenti di una parte nei confronti dell’altra. Rileva, cioè, il contesto diseguale di coppia in cui si consumano le condotte violente. Per maggiore chiarezza, e per replicare alla linea difensiva, i magistrati precisano poi che i maltrattamenti in famiglia si distinguono dalle liti ordinarie in quanta nel primo caso un soggetto, in posizione sovraordinata, impedisce all’altra di esprimere il proprio essere, mentre nelle liti ordinarie, invece, le parti si confrontano, anche con veemenza, ma in posizione paritaria. Allo stesso tempo, però, è possibile che il soggetto maltrattato, nonostante la posizione di asimmetria, sia sottomesso e tuttavia reagisca e, sua volta, offenda l’altra parte, ma ciò, spiegano i magistrati, non esclude il reato di maltrattamenti in famiglia, perché anche in tali casi continua ad esservi una posizione di disuguaglianza tra le parti e continua ad esservi un soggetto sopraffattore e un soggetto sopraffatto. Tornando a bomba, ossia alla vicenda oggetto del processo, i magistrati sono netti: vi sono stati comportamenti aggressivi, reiterati, unilaterali da parte dell’uomo, come accertato tra primo e secondo grado, nei confronti della persona offesa, e questa ha reagito davanti alle aggressioni subite e dovute anche all’abuso di alcool dell’uomo. Dunque, ci si trova di fronte a condotte consapevoli e volontarie poste in essere dall’uomo in un contesto di disuguaglianza e di supremazia rispetto alle quali la persona offesa ha avuto la capacita di opporsi. Respinto, quindi, il riferimento difensivo alla presunta reciprocità delle offese tra l’uomo e la donna.