Condannata la maestra d’asilo che si comporta in modo dittatoriale
Impossibile, secondo i giudici, parlare di mero abuso dei mezzi di correzione
Maestra d’asilo obbliga con la forza gli allievi a mangiare: legittimo parlare di maltrattamenti. Impossibile, secondo i giudici, ridimensionare gli episodi addebitati all’insegnante e catalogarli come mero abuso dei mezzi di correzione. Ciò perché è emerso un quadro di minacce, di coercizioni e pesanti punizioni, di violenze inflitte ai bambini, di età compresa tra i 3 e i 5 anni, e tali comportamenti non erano isolati, ma venivano ripetuti nel tempo nei confronti di una pluralità di piccoli allievi. Legittimo, quindi, parlare di maltrattamenti se la maestra d’asilo si comporta in modo dittatoriale in classe, obbligando fisicamente i bambini a mangiare, strattonandoli e punendoli, a fronte di comportamenti disubbidienti, con una sorta di isolamento rispetto ai compagni (sentenza numero 37747 del 15 ottobre 2024 della Cassazione). A inchiodare la maestra sono non tanto i racconti dei bambini, racconti riportati dai genitori, bensì i video registrati dalle telecamere nascoste piazzate dalle forze dell’ordine sia nella classe gestita dalla donna sia nella mensa della scuola. Rilevanti anche le dichiarazioni di alcuni testimoni, i quali hanno riferito di condotte particolarmente rigide, connotate da un intervento correttivo sproporzionato. Secondo una teste, la maestra era solita dare ordini ai bambini, insistendo con autorità soprattutto affinché mangiassero, mentre, secondo un’altra teste, il metodo educativo della maestra era autoritario, nel senso che si atteggiava verso i bambini cercando di imporre il suo volere, minacciando punizioni e imponendo divieti. Sulla stessa falsariga anche altre due testi, che hanno riferito di condotte molto rigorose per quanto riguarda l’alimentazione e di condotte molto severe e autoritarie. In sostanza, si è appurato che la maestra strattonava i bambini, li costringeva, per punizione, a stare in tavoli separati, minacciava di punirli per imporre il suo volere. Da altre deposizioni è emerso che la maestra, per far mangiare una bambina, le ha infilato un bavaglino in un angolo della bocca in modo da tenerla aperta e contemporaneamente le ha fatto ingoiare un cucchiaio di minestra, continuando nella sua azione nonostante la bimba si fosse messa a piangere. In sostanza, ella aveva un modo dittatoriale di porsi nei confronti dei bambini, che costringeva a mangiare ogni cosa, e quei bambini avevano un comportamento che evidenziava uno stato di paura. Addirittura, la maestra è stata vista imboccare una bambina tenendole le braccia dietro la schiena e dare uno schiaffo ad un bambino perché non mangiava, e, ancora, minacciare tutti i minori dicendo che se non avessero mangiato sarebbero stati lasciati seduti soli o sarebbero finiti sulla brandina che, acquistata allo scopo di consentire ai bambini di dormire, veniva impiegata come mezzo di punizione. Per i magistrati il quadro è chiarissimo: le condotte della maestra travalicano i limiti dell’uso dei mezzi di correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla propria cura, senza trasmodare nel ricorso a mezzi violenti, che contraddicono tali fini formativi. Decisivo anche il richiamo al principio secondo cui l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti. Difatti, affinché possa essere configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione in luogo del reato di maltrattamenti, la risposta educativa dell’istituzione scolastica deve essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell’alunno e, in ogni caso, non può mai consistere in trattamenti lesivi dell’incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore. Né l’intenzione del soggetto di agire esclusivamente per finalità educative e correttive costituisce un elemento dirimente per far rientrare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori nella meno grave previsione del reato di abuso dei mezzi di correzione anziché in quella del reato di maltrattamenti. Ciò perché il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale e al complesso normativo fornito dall’ordinamento giuridico e non già dalla intenzione del soggetto. Pertanto, deve essere escluso che l’uso
sistematico della violenza quale ordinario trattamento del minore, sia pure sostenuto da animus
corrigendi, possa rientrare nell’ambito dell’abuso dei mezzi di correzione, in considerazione della
sicura illiceità di tale uso.