Uccelli costretti in gabbie piccole: legittima la condanna

Confermata la condanna di un uomo ritenuto colpevole di avere sottoposto a sevizie, senza necessità, uccelli appartenenti a specie particolarmente protette, detenendoli dentro gabbie e recinti angusti, in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche, e di aver cagionato loro lesioni e la morte, senza necessità o per crudeltà, mediante compressione della regione addominale, frattura cranica o dislocazione cervicale

Uccelli costretti in gabbie piccole: legittima la condanna

Legittimo catalogare come maltrattamento di animali il detenere alcuni uccelli dentro gabbie e recinti angusti. Questa visione ha condotto alla condanna (sentenza 33209 del 28 agosto 2024 della Cassazione) di un uomo che svolge l’attività di allevatore di avifauna autorizzato dalla Regione ed è in possesso di licenza di caccia ed è stato ritenuto colpevole di aver sottoposto a sevizie, senza necessità, uccelli appartenenti a specie particolarmente protette, detenendoli dentro gabbie e recinti angusti, in condizioni incompatibili con le loro caratteristiche, e di aver cagionato loro lesioni e la morte, senza necessità o per crudeltà, mediante compressione della regione addominale, frattura cranica o dislocazione cervicale. Per parlare di maltrattamenti ai danni di un animale, è necessario che le condotte vengano poste in essere per crudeltà o senza necessità. E la crudeltà si identifica, precisano i giudici, con l’inflizione all’animale di gravi sofferenze per mera brutalità, mentre la necessità si riferisce ad ogni situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno a sé o ad altri o ai propri beni, quando tale danno il soggetto ritenga non altrimenti evitabile. Applicando tale prospettiva alla vicenda in esame, viene respinta la tesi difensiva secondo cui le pratiche di uccisione degli uccelli – mediante compressione della regione addominale, frattura cranica o dislocazione cervicale – non sarebbero valutabili come crudeli in quanto praticate allo scopo di lenire le sofferenze di animali feriti gravemente. Su questo fronte i giudici precisano che dalle dichiarazioni rese dal funzionario dell’istituto zooprofilattico è emerso che tutti gli esemplari trovati senza vita non recavano segni di malattie pregresse e che solo alcuni degli animali morti recavano delle ferite da morso, ferite da riferire ad un’attività di predazione avvenuta successivamente alla morte. Risulta, quindi, in ogni caso evidente che le uccisioni sono state realizzate, se non con crudeltà, senza necessità, di sicuro. Per chiudere il cerchio, infine, vengono richiamate le dichiarazioni del funzionario del servizio veterinario, il quale ha riferito le pessime condizioni igienico-sanitarie in cui si trovavano gli animali e l’inidoneità degli ambienti ove essi erano detenuti.

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